LA BELVA | Cesare Pavese | |||
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(Parlano Endimione e uno straniero)
ENDIMIONE . Ascolta, passante. Come a straniero posso dirti queste cose. Non spaventarti dei miei occhi di folle. Gli stracci che ti avvolgono i piedi sono brutti come i miei occhi, ma tu sembri un uomo valido che quando vorrà si fermerà nel paese che ha scelto, e qui avrà un riparo, un lavoro, una casa. Ma sono convinto che se adesso cammini è perché non hai nulla se non la tua sorte. E tu vai per le strade a quest'ora dell'alba - dunque ti piace essere sveglio tra le cose quando escono appena dal buio e nessuno le ha ancora toccate. Vedi quel monte? E’ il Latmo. Io l'ho salito tante volte nella notte, quand'era più nero, e ho atteso l'alba tra i suoi faggi. Eppure mi pare di non averlo toccato mai. STRANIERO . Chi può dire di aver mai toccato quello accanto a cui passa? ENDIMIONE . Penso a volte che noi siamo come il vento che trascorre impalpabile. O come i sogni di chi dorme. Tu ami, straniero, dormire di giorno? STRANIERO . Dormo comunque, quando ho sonno e casco. ENDIMIONE . E nel sonno ti accade - tu che vai per le strade - di ascoltar lo stormire del vento, e gli uccelli, gli stagni, il ronzio, la voce dell'acqua? Non ti pare, dormendo, di non essere mai solo? STRANIERO . Amico, non saprei. Sono vissuto sempre solo. ENDIMIONE . O straniero, io non trovo più pace nel sonno. Credo di aver dormito sempre, eppure so che non e vero. STRANIERO . Tu mi sembri uomo fatto, e robusto. ENDIMIONE . Lo sono, straniero, lo sono. E so il sonno del vino, e quello pesante che si dorme al fianco di una donna, ma tutto questo non mi giova. Dal mio letto oramai tendo l'udito, e sto pronto a balzare, e ho questi occhi, questi occhi, come di chi fissa nel buio. Mi pare di esser sempre vissuto così. STRANIERO . Ti è mancato qualcuno? ENDIMIONE . Qualcuno? O straniero, tu lo credi che noi siamo mortali? STRANIERO . Qualcuno ti è morto? ENDIMIONE . Non qualcuno. Straniero, quando salgo sul Latmo io non sono più un mortale. Non guardare i miei occhi, non contano. So che non sogno, da tanto non dormo. Vedi le chiazze di quei faggi, sulla rupe? Questa notte ero la e l'ho aspettata. STRANIERO . Chi doveva venire? ENDIMIONE . Non diciamo il suo nome. Non diciamolo. Non ha nome. O ne ha molti, lo so. Compagno uomo, tu sai cos'è l'orrore del bosco quando vi si apre una radura notturna? O no. Quando ripensi nottetempo alla radura che hai veduto e traversato di giorno, e la c'è un fiore, una bacca che sai, che oscilla al vento, e questa bacca, questo fiore, è una cosa selvaggia, intoccabile, mortale, fra tutte le cose selvagge? Capisci questo? Un fiore che è come una belva? Compagno, hai mai guardato con spavento e con voglia la natura di una lupa, di una daina, di una serpe? STRANIERO . Intendi, il sesso della belva viva? ENDIMIONE . Sí ma non basta. Hai mai conosciuto persona che fosse molte cose in una, le portasse con sé, che ogni suo gesto, ogni pensiero che tu fai di lei racchiudesse infinite cose della tua terra e del tuo cielo, e parole, ricordi, giorni andati che non saprai mai, giorni futuri, certezze, e un'altra terra e un altro cielo che non ti è dato possedere? STRANIERO . Ho sentito parlare di questo. ENDIMIONE . O straniero, e se questa persona è la belva, la cosa selvaggia, la natura intoccabile, che non ha nome? STRANIERO . Tu parli di cose terribili. ENDIMIONE . Ma non basta. Tu mi ascolti, com'è giusto. E se vai per le strade, sai che la terra è tutta piena di divino e di terribile. Se ti parlo è perché, come viandanti e sconosciuti, anche noi siamo un poco divini. STRANIERO . Certo, ho veduto molte cose. E qualcuna terribile. Ma non occorre andar lontano. Se può giovarti, ti dirò che gli immortali sanno la strada della cappa del camino. ENDIMIONE . Dunque, lo sai, e mi puoi credere. Io dormivo una sera sul Latmo - era notte - mi ero attardato nel vagabondare, e seduto dormivo, contro un tronco. Mi risvegliai sotto la luna - nel sogno ebbi un brivido al pensiero ch'ero là, nella radura - e la vidi. La vidi che mi guardava, con quegli occhi un poco obliqui, occhi fermi, trasparenti, grandi dentro. Io non lo seppi allora, non lo sapevo l'indomani, ma ero già cosa sua, preso nel cerchio dei suoi occhi, dello spazio che occupava, della radura, del monte. Mi salutò con un sorriso chiuso; io le dissi: «Signora»; e aggrottava le ciglia, come ragazza un po' selvatica, come avesse capito che mi stupivo, e quasi dentro sbigottivo, a chiamarla signora. Sempre rimase poi fra noi quello sgomento. STRANIERO . Cose incredibili racconti, Endimione. Ma incredibili in questo che, poiché senza dubbio sei tornato sul monte, tu viva e cammini tuttora, e la selvaggia, la signora dai nomi, non ti abbia ancora fatto suo. ENDIMIONE . Io sono suo, straniero. STRANIERO . Voglio dire... Non conosci la storia del pastore lacerato dai cani, l'indiscreto, l'uomo-cervo...? ENDIMIONE . O straniero, io so tutto di lei. Perché abbiamo parlato, parlato, e io fingevo di dormire, sempre, tutte le notti, e non toccavo la sua mano, come non si tocca la leonessa o l'acqua verde dello stagno, o la cosa che è più nostra e portiamo nel cuore. Ascolta. Mi sta innanzi - una magra ragazza, non sorride, mi guarda. E gli occhi grandi, trasparenti, hanno visto altre cose. Le vedono ancora. Sono loro queste cose. In questi occhi c'è la bacca e la belva, c'è l'urlo, la morte, l'impetramento crudele. So il sangue sparso, la carne dilaniata, la terra vorace, la solitudine. Per lei, la selvaggia, è solitudine. Per lei, la belva, è solitudine. La sua carezza è la carezza che si fa al cane o al tronco d'albero. Ma, straniero, lei mi guarda, mi guarda, e nella tunica breve è una magra ragazza, come tu forse ne hai vedute al tuo paese. STRANIERO . Della tua vita d'uomo, Endimione, non avete parlato? ENDIMIONE . Straniero, tu sai cose terribili, e non sai che il selvaggio e il divino cancellano l'uomo? STRANIERO , Quando sali sul Latmo non sei più mortale, lo so. Ma gli immortali sanno stare soli. E tu non vuoi la solitudine. Tu cerchi il sesso delle bestie. Tu con lei fingi il sonno. Che cos'è dunque che le hai chiesto? ENDIMIONE . Che sorridesse un'altra volta. E questa volta esserle sangue sparso innanzi, essere carne nella bocca del suo cane. STRANIERO . E che ti ha detto? ENDIMIONE . Nulla dice. Mi guarda. Mi lascia solo, sotto l'alba. E la cerco tra i faggi. La luce del giorno mi ferisce gli occhi. «Tu non dovrai svegliarti mai», mi ha detto. STRANIERO . O mortale, quel giorno che sarai sveglio veramente, saprai perché ti ha risparmiato il suo sorriso. ENDIMIONE . Lo so fin d'ora, o straniero, o tu che parli come un dio. STRANIERO . Il divino e il terribile corron la terra, e noi andiamo sulle strade. L'hai detto tu stesso. ENDIMIONE . O dio viandante, la sua dolcezza è come l'alba, e terra e cielo rivelati. Ed è divina. Ma per altri, per le cose e le belve, lei la selvaggia ha un riso breve, un comando che annienta. E nessuno le ha mai toccato il ginocchio. STRANIERO . Endimione, rassegnati nel tuo cuore mortale. Né dio né uomo l'ha toccata. La sua voce ch'è rauca e materna è tutto quanto la selvaggia ti può dare. ENDIMIONE . Eppure. STRANIERO . Eppure? ENDIMIONE . Fin che quel monte esisterà non avrò più pace nel sonno. STRANIERO . Ciascuno ha il sonno che gli tocca, Endimione. E il tuo sonno è infinito di voci e di grida, e di terra, di cielo, di giorni. Dormilo con coraggio, non avete altro bene. La solitudine selvaggia è tua. Amala come lei l'ama. E adesso, Endimione, io ti lascio. La vedrai questa notte. ENDIMIONE . O dio viandante, ti ringrazio. STRANIERO . Addio. Ma non dovrai svegliarti più, ricorda. |
Noi siamo convinti che gli amori di Artemide con Endimione non furono cosa carnale. Ciò beninteso non esclude - tutt'altro - che il meno energico dei due anelasse a sparger sangue. Il carattere non dolce della dea vergine - signora delle belve, ed emersa nel mondo da una selva d'indescrivibili madri divine del mostruoso Mediterraneo - è noto. Altrettanto noto è che uno quando non dorme vorrebbe dormire e passa alla storia come l'eterno sognatore.
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